lunedì 14 gennaio 2019

GLEISI HOFFMANN, SEN. (PT-PR) E PRESIDENTE NAZIONALE DEL PARTITO DEI LAVORATORI DEL BRASILE SUL VENEZUELA

Sono appena tornata dal Venezuela, dove, come presidente del PT e su invito del governo eletto, ho partecipato al giuramento del presidente Nicolás Maduro. Non sono stata sorpresa dagli attacchi e dalle reazioni di coloro che non comprendono principi come l'autodeterminazione e la sovranità popolare; di coloro che non riconoscono che i partiti e i governi di paesi diversi possano dialogare rispettosamente.
Per varie ragioni, i problemi interni del Venezuela, economici, sociali e politici, sono stati oggetto di indebite pressioni esterne che hanno aggravato la situazione interna. Ma la conferma di Maduro nel suo secondo mandato ha scatenato un movimento coordinato di intervento in Venezuela, promosso dal governo degli Stati Uniti e approvato da governi di destra in America Latina, tra i quali spicca la sottomissione vergognosa a Donald Trump di Jair Bolsonaro.
Piaccia o no, Maduro è stato eletto con il 67% dei voti. Il voto in Venezuela è facoltativo. Tre candidati dell'opposizione hanno partecipato e le elezioni hanno rispettato il quadro giuridico e costituzionale del paese (1999 Costituzione), confermato da un comitato esterno indipendente. Uno dei membri della commissione, l'ex primo ministro spagnolo José Luiz Zapatero, ha dichiarato: "Non ho dubbi che (i venezuelani) votino liberamente". Che diritto hanno alcuni paesi di mettere in discussione il voto del popolo venezuelano?
Non possiamo illuderci: l'azione coordinata contro il governo venezuelano è lontana da una presunta difesa della democrazia e della libertà di opposizione in Venezuela. Non c'è interesse ad aiutare il popolo venezuelano a superare le sue vere sfide. Ciò che esiste è la combinazione di interessi economici e geopolitici con le mosse opportunistiche di alcuni governi, come purtroppo accade in Brasile.
Il Venezuela non è affatto un paese qualunque. È il proprietario delle più grandi riserve di petrolio del pianeta. Il paese ha dal 1° Gennaio assunto la presidenza la presidenza dell'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC) per il 2019. Dall'elezione di Hugo Chávez nel 1998, il Venezuela ha sfidato i modelli politico economici di disuguaglianza nel paese e nell'America Latina.
L'interesse degli Stati Uniti e dei loro alleati a sottomettere questo fastidioso vicino e mettere le mani sulle sue riserve strategiche è noto. Abbiamo già visto questo film: l'invasione americana dell'Iraq, nel nome della difesa dei diritti del popolo e la restaurazione della democrazia, ha provocato 250.000 morti, distrutto città, portato miseria, fame e terrore. Poi si sono lasciati tutto alle spalle, anche una scia di distruzione e scoraggiamento, dopo aver depredato con le loro aziende il paese e realizzato ingenti profitti posizionandosi strategicamente nel punto di accesso al petrolio dei paesi arabi. Qual è la situazione ora in Iraq? Meglio o peggio di prima? C'è democrazia? Il popolo è più felice? Per loro non ha alcuna importanza. Ciò che importa è che l'impero ha conquistato ciò che voleva.
La preoccupazione dei governi Trump e Bolsonaro, tra gli altri, è quella di destabilizzare il governo eletto di Maduro e sostenere un governo parallelo dell'opposizione. Usano una retorica di guerra come non sentivamo nel nostro continente da molto tempo. Vogliono intervenire in Venezuela - anche attraverso un intervento militare - con la narrativa che sarebbe una dittatura, che i diritti umani non sono rispettati, che c'è una crisi umanitaria; dobbiamo intervenire per salvare le persone.
Qualcuno pensa sinceramente che gli Stati Uniti siano preoccupati per la democrazia e i diritti umani in Venezuela? Perché non gli importa della fame nello Yemen? Perché trattano i migranti in modo ostile? Trump si è forse preoccupato dei diritti umani quando ingabbiava i bambini come animali?
La nostra Costituzione e la tradizione della diplomazia brasiliana difendono il non-intervento in altri paesi. È il rispetto per le nazioni e l'autodeterminazione dei popoli. Non abbiamo bisogno di adulare gli imperi che usano le crisi per coprire i loro problemi interni e si avvantaggiano, approfittandosene economicamente, delle guerre e dei blocchi politici ed economici. Abbiamo già visto questo film e questo porta solo più dolore. Quando l'ex presidente George W. Bush ha voluto compromettere il Brasile nella guerra contro l'Iraq, l'ex presidente Lula ha reagito con grinta: "La nostra guerra è contro la fame".
Le difficoltà incontrate dal popolo venezuelano sono state aggravate solo dalle sanzioni e dai blocchi economici imposti dagli Stati Uniti e dai loro alleati. Non dimentichiamoci che il governo della Colombia si è rifiutato di vendere medicine al governo venezuelano. Così come è accaduto con altri prodotti. Il Venezuela dipende fortemente dalle importazioni. Finché permangono blocchi e sanzioni, le persone soffriranno e migreranno, imponendo anche sofferenza a coloro che confinano con il paese.
La via d'uscita, la soluzione pacifica alla crisi venezuelana, che ha un impatto in America Latina, è la negoziazione politica, è parlare a tutti e con tutti. Ruolo che il Brasile dovrebbe avere, come ha fatto con successo in passato, e non aggiungere legna al fuoco.
Questa settimana Bolsonaro incontrerà il presidente Macri in Argentina. I giornali dicono che il primo punto all'ordine del giorno sarà il Venezuela. Se hanno un minimo senso di responsabilità per la pace, l'ordine e la buona convivenza tra i paesi e i popoli dell'America Latina, propongano un dialogo con i partiti venezuelani. Altrimenti, accelereremo solo la crisi con ripercussioni per tutti noi.
I democratici brasiliani, che sinceramente si preoccupano del destino dei nostri popoli, sanno che l'interventismo di qualsiasi tipo non è la via d'uscita dalla crisi venezuelana. E non è necessario essere d'accordo con Nicolás Maduro, con il suo governo o con i processi istituzionali venezuelani per capire che, nel caso di un intervento militare, il ruolo del Brasile sarà purtroppo quello di carne da macello.

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