Donald Trump ha abituato il mondo a
terremoti nelle relazioni internazionali. A partire dai pessimi rapporti
con gli alleati tradizionali. L'anno scorso il G7 in Canada ha
consacrato per il Presidente USA l’emergere di un nuovo “nemico
pubblico” numero uno tra le nazioni amiche: il leader di Ottawa, Justin
Trudeau. I primi tweet ultra-mattinieri della Casa Bianca,
all’inaugurazione del vertice di due giorni nei boschi del Quebec, hanno
preso di mira l’insieme del G7 ma in particolare Ottawa. «Non vedo
l’ora di raddrizzare gli iniqui accordi commerciali con i paesi del G7.
Se non succede, noi ne usciamo anche meglio» e poi «Il Canada ci impone
dazi del 270% sui latticini. Non ve l’hanno detto, vero? Ingiusto per i
nostri agricoltori!». Trudeau ha sfoderato i muscoli con una serie di
dure prese di posizione nelle settimane e nei giorni che hanno preceduto
il summit. In una telefonata in maggio ha usato toni duri con Trump
dopo che questo gli ha rimproverato che i canadesi avrebbero bruciato la
Casa Bianca nella guerra del 1812 - storicamente falso, furono i
soldati britannici. Ha poi sfoderato insolita rabbia in risposta ai dazi
su acciaio e alluminio, dei quali il Canada è il principale esportatore
negli Usa: li ha definiti un «insulto» e «inaccettabili», tanto più
perché legittimati con il rischio per la sicurezza nazionale. Trudeau ha
ricordato a Trump che truppe statunitensi e canadesi da sempre
combattono fianco a fianco. La posta in gioco, tra Stati Uniti e Canada,
è alta: l'accordo di libero scambio nordamericano Nafta, che vede anche
il Messico tra i protagonisti, con la clausola di rescissione
unilaterale ogni 5 anni di Washington. Trump ha continuato ad accusare i
canadesi di pratiche scorrette nel commercio, non solo nei metalli ma
nell’agricoltura. Li ha accusati di dazi protettivi e barriere,
mettendoli nella sua personale "lista nera".
L'atteggiamento
aggressivo del Canada, sempre molto mite in diplomazia, nei confronti
del Presidente Maduro ha sollevato le perplessità di molti canadesi,
tant'è che uno dei più importanti quotidiani canadesi, The Star, ne
denuncia l'incomprensibile durezza diplomatica.
Scrive il
quotidiano: "È vero, il Venezuela è un pasticcio sotto il profilo
economico. In parte, questo è il risultato di pressioni esterne da parte
di coloro che si oppongono a Maduro". E aggiunge che se sono da
considerarsi viziate le elezioni in Venezuela, che hanno visto la
riconferma di Maduro, lo sono anche quelle "del nuovo presidente di
destra del Brasile, Jair Bolsonaro. In quella elezione, l'avversario più
formidabile di Bolsonaro, Luis Inacio Lula da Silva, con la sinistra,
fu escluso dalla corsa" e "Ottawa non ha mai messo in dubbio la
legittimità del presidente comunista cinese Xi Jinping. Va molto
d'accordo con gli autocrati del Medio Oriente negli Emirati Arabi Uniti.
Non si è mai preoccupato molto delle elzioni del presidente egiziano
Abdel Fattah el-Sisi" ... "E mentre si lamenta della monarchia saudita,
non ha mai messo in discussione la legittimità di quel regime
antidemocratico. In effetti, è noto che il Canada fornisce ai sauditi le
armi. Cosa rende il Venezuela così speciale? In parte, la risposta
potrebbe essere che Ottawa vuole recitare un ruolo importante in America
Latina. Il Canada è già un attore economico nella regione e spera di
aumentare il suo giro di affari. Sulla questione Venezuela, Ottawa si è
alleata non solo con il nuovo governo di destra in Brasile, ma con altri
paesi del gruppo Lima composto da 14 membri, come Argentina e Perù.
Tredici membri del gruppo Lima, creato nel 2017 per sfidare Maduro,
hanno emesso un comunicato separato la scorsa settimana attaccando il
presidente venezuelano.
Significativamente, il Messico - uno dei
membri originali del gruppo - si è rifiutato di firmarlo. Il Messico,
insieme a Bolivia, Cuba, Ecuador, El Salvador, Nicaragua e Uruguay
continua a riconoscere Maduro come il legittimo presidente del
Venezuela". E poi c'è "l'elefante nella stanza: gli Stati Uniti. Gli
USA vogliono disperatamente vedere il Venezuela, ricco di petrolio,
sotto una nuova guida politica. Trump ha invocato più volte l'invasione
del Venezuela. L'ex segretario di Stato Rex Tillerson ha parlato
pubblicamente di un colpo di stato, prevedendo che le forze armate del
Venezuela avrebbero "gestito con successo una transizione pacifica" con
un nuovo presidente. Lo scorso autunno, il New York Times ha riferito
che i funzionari americani si erano incontrati segretamente con i
complottisti venezuelani per più di un anno, fermandosi solo dopo che le
forze di sicurezza di Maduro avevano arrestato la maggior parte degli
aspiranti golpisti. Ma gli Stati Uniti devono stare attenti. La sua
storia di far cadere governi ostili agli affari americani non è
ricordata con affetto in America Latina. In caso di un colpo di stato,
sarebbe meglio per gli Stati Uniti se non lasciassero impronte digitali.
E sarebbe ancora meglio se i più feroci attacchi retorici sulla
legittimità politica di Maduro non venissero da paesi come il Canada.
Allora perché Ottawa è così preoccupata per il Venezuela? Sospetto che
non lo sia. Sospetto che non gli importi molto cosa succede in quel
paese. Ma nel momento in cui il Canada è sempre più messa fuorigioco da
Trump, il governo del primo ministro Justin Trudeau sta cercando aree in
cui possa dimostrare agli Stati Uniti che è ancora un fedele alleato. E
Maduro è un obiettivo conveniente".
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