Prima di Chavez, il Venezuela era un grande
alleato degli Stati Uniti, un modello di economia di libero mercato e
un importante produttore di petrolio. Con le maggiori riserve di greggio
nel mondo, la narrativa convenzionale è che la sua attuale implosione sia dovuta solo alla colossale cattiva gestione delle sue risorse
interne.
E' bene ricordare com'era il Venezuela prima di Hugo Chávez.
1990: il New York Times descriveva il Venezuela come “una delle
democrazie più antiche e stabili dell’America Latina” e sosteneva che, grazie alla instabilità geopolitica del Medio
Oriente, era “pronto a svolgere di nuovo un ruolo fondamentale sulla scena energetica degli Stati Uniti ben oltre gli anni
’90”. All’epoca, la produzione petrolifera venezuelana stava
contribuendo a “compensare la penuria causata dall’embargo del petrolio
nei confronti di Iraq e Kuwait”, dovuta all'aumento dei prezzi del petrolio determinati dal conflitto latente. Peccato che il New York Times avesse camuffato la crescente crisi economica. Come notato dal principale
esperto in America Latina, Javier Corrales, in ReVista: Harvard Review of Latin America,
il Venezuela non si era mai ripreso dalle crisi valutarie e dai debiti
che aveva patito negli anni ’80. Il caos economico è continuato negli
anni ’90, proprio mentre il Times festeggiava l’amicizia
tra Venezuela e Stati Uniti, ha spiegato Corrales:
“L’inflazione è rimasta indomita e tra le più alte della regione, la
crescita economica ha continuato a essere instabile e dipendente dal
petrolio, la crescita pro-capite ristagnava, i tassi di
disoccupazione aumentavano e i deficit del settore pubblico perduravano,
nonostante i continui tagli della spesa”.
Prima dell’ascesa di
Chavez [al potere], il consolidato sistema politico-partitico, così
accolto con favore dagli Stati Uniti e corteggiato da istituzioni
internazionali come l’FMI, si stava sostanzialmente sgretolando.
“Secondo un recente rapporto di Data Information Resources della Venezuelan-American Chamber of Commerce, negli ultimi 25 anni la quota
di reddito delle famiglie spesa per il cibo dal 28% è aumentata fino al
72%”, deplorava il New York Times nel 1996. “La classe media
si è ridotta di un terzo. Si stima che il 53% dei posti di lavoro sia
ora classificato “informale” – nell’economia sommersa – rispetto al 33%
alla fine degli anni ’70”. Di chi era la colpa? Per il NYT era la
“munificenza del governo” e il suo interventismo nell’economia accanto a
misure di austerità avallata dall’FMI. Secondo il NYT, persino
il Presidente, in apparenza anti-austerità, Rafael Caldera – che aveva
promesso più “populismo finanziato dallo Stato” come antidoto agli anni
di austerità dell’FMI – ha finito con il “negoziare un prestito di 3
miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale”, assieme a “un
secondo prestito di dimensioni non divulgate, per alleviare l’impatto
sociale di eventuali difficoltà imposte da un accordo dell’FMI”.
Quindi tutti coloro che oggi fanno denunce morali, fragorose e ipocrite, nei
confronti di Maduro dovrebbero ricordare il ruolo determinante degli USA nell'imporre il fondamentalismo di mercato che ha generato scompiglio, economico e sociale, nella società venezuelana.
Ovviamente, all’infuori delle camere di risonanza del fanatismo della
Casa Bianca di Trump e di quelli del calibro del New York Times,
l’impatto devastante delle misure di austerità della Banca Mondiale,
sostenuta dagli Stati Uniti, e dal Fondo Monetario Internazionale è ben
documentato tra i più importanti economisti.
In un documento
per la London School of Economics, il Professore Jonathan DiJohn della UN Research Institute for Social Development,
ha riscontrato che la liberalizzazione economica sostenuta dagli Stati
Uniti, non solo non ha rilanciato gli investimenti privati e la crescita
economica, ma ha anche contribuito a peggiorare la distribuzione
fattoriale del reddito, che ha contribuito alla crescente polarizzazione
della politica”.
Le riforme neoliberiste hanno ulteriormente
aggravato le strutture politiche nepotistiche già esistenti,
centralizzate e vulnerabili alla corruzione. Lungi dal rafforzare lo
Stato, hanno portato a un collasso nel potere regolativo statale. Gli
analisti che si rifanno a un’età dell’oro del libero mercato venezuelano
ignorano il fatto che, lungi dal ridurre la corruzione, “la
deregolamentazione finanziaria, le privatizzazioni su larga scala e i
monopoli privati hanno creato grandi rendite, e quindi opportunità
orientate alla rendita e alla corruzione”.
Invece di condurre riforme
economiche significative, la neoliberalizzazione ha ostacolato una vera
riforma e ha radicato il potere delle élite. E questo è esattamente il modo
in cui l’Occidente ha contribuito a creare il Chavez che ama odiare.
Nelle parole di Corrales nell’Harvard Review:
“… il
collasso economico e il collasso del sistema dei partiti sono
intimamente correlati. Il ripetuto fallimento del Venezuela nel
riformare la sua economia ha reso i politici vigenti sempre più
impopolari, che a loro volta hanno risposto privilegiando le politiche
populiste, invece che le riforme reali. Il risultato è stato un circolo
vizioso di decadenza economica e dei partiti politici, che ha aperto la
strada all’affermazione di Chavez “.
(estratto da: Medium.com)
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