#VENEZUELA, LA PIU' GRANDE GROTTA DI QUARZITE DEL MONDO
Nelle più inaccessibili grotte della Terra si può trovare la chiave per
scoprire le (eventuali) tracce di vita su Marte. Sembra un paradosso
invece è una delle ricerche di punta di astrobiologia, una materia che è
uscita da tempo dalle pagine dei libri di fantascienza per entrare
nelle aule delle università. «Imawarì Yeuta è la più grande grotta
in quarzite del mondo», racconta Francesco Sauro, professore di
geologia planetaria all’Università di Bologna. «Si trova nei tepui,
montagne con la cima piatta nella giungla del Venezuela». L’area è nota
come Auyantepui, che in lingua india locale significa non a caso
Montagna del diavolo. Arrivarci è complicato, Sauro e il suo gruppo
hanno dovuto organizzare una spedizione con l’appoggio di La Venta, team
specializzato in esplorazioni geografiche-speleologiche.
Dall’Amazzonia a Marte
Ma cosa c’entra la vita su Marte con una sperduta grotta in Amazzonia?
«Nel 2008 il rover della Nasa Spirit si è imbattuto in rocce che a
un’analisi morfologica si sono dimostrate simili a stromatoliti silicee,
formazioni molto rare sulla Terra. Sul nostro pianeta queste rocce si
originano grazie all’azione di particolari microrganismi che riescono a
vivere in condizioni estreme e che, come risultato del loro metabolismo,
depositano sottilissimi livelli di silice opalina, uno stato amorfo non
cristallizzato del silicio, simile all’opale», sintetizza Sauro. «Sulla
Terra queste rocce si trovano in prossimità di sorgenti idrotermali e
geyser. Noi le abbiamo trovate in una grotta. Sappiamo che su Marte non
può esserci vita in superficie perché i raggi cosmici e ultravioletti,
non schermati dalla tenue atmosfera del pianeta, danneggiano i tessuti
viventi».
Le concrezioni
Se c’è stata vita sul Pianeta
rosso — e se c’è ancora — si è nascosta nel sottosuolo per proteggersi
dalle radiazioni che distruggono il Dna, dove ha trovato condizioni che
possono essere paragonabili con quelle all’interno delle grotte di
Imawarì Yeuta. «Si tratta di un labirinto orizzontale lungo circa 24
chilometri — prosegue lo speleologo-ricercatore —. La particolarità è
che sono state scavate in rocce quarzitiche, a differenza della quasi
totalità dei sistemi carsici che invece si sono impostati in rocce
carbonatiche. La quarzite locale, vecchia di 1,6 miliardi di anni, a
differenza dei calcari è pochissimo solubile in acqua. Quindi i tempi di
formazione delle cavità sono molto dilatati: abbiamo calcolato un tempo
variabile tra 30 e 70 milioni di anni. Vari settori di queste grotte
sono senza luce, senza la presenza di corsi d’acqua. Ma, nonostante
queste condizioni in apparenza impossibili per la vita, abbiamo trovato
batteri e funghi, molti di specie e generi sconosciuti alla scienza.
Sono stati loro, grazie alla loro lentissima azione metabolica, a
trasformare l’ortoquarzite debolmente metamorfica nelle concrezioni di
silice opalina che possono essere accostate a quelle rinvenute su
Marte».
Le grotte e lo spazio
Alla ricerca, pubblicata
sulla prestigiosa rivista specializzata Scientific Report, hanno
partecipato altri studiosi italiani delle università di Firenze e Genova
ed estere. Gli studi saranno estesi ad altre grotte analoghe in
Brasile, Sudafrica e Australia. Il mondo sotterraneo ha un legame con lo
spazio. Nelle grotte in Sardegna vengono addestrati gli astronauti di
tutte le agenzie spaziali del mondo, dagli europei ai cinesi, dai russi
agli americani. Sauro è stato uno dei loro istruttori. «Si è scoperto
che vivere per un certo periodo in una grotta porta benefici a chi passa
mesi in orbita. E chissà che le nostre scoperte sulle rocce non possano
servire per trovare la vita su Marte».
(Corsera, 7 dicembre 2018)
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