I primi colloqui, durati due giorni a Roma, tra il rappresentante speciale degli USA per il Venezuela, Elliott Abrams, e il viceministro degli esteri russo, Sergei Ryabkov, finiscono apparentemente con un nulla di fatto. Nessun documento, nessuna bozza d'intesa. I prossimi incontri? Elliott è stato elusivo "A Roma, a Washington, a Mosca". Rimane comunque il primo contatto personale ufficiale tra i rappresentati della Russia e
degli Stati Uniti sulla situazione in Venezuela dall’inizio della
crisi.
Abrams li ha definiti «positivi, seri e sostanziali. È stato utile per noi capire che la Russia vede come molto seria la crisi in Venezuela a differenza di Maduro e che da entrambe le parti emergano con una migliore comprensione delle posizioni reciproche. Non negoziamo con la Russia o con altri il futuro del Venezuela, il futuro del Venezuela lo scelgono i venezuelani. Chi ha il titolo di presidente del Venezuela è stato ancora un punto di contesa». Abrams ha citato recenti stime secondo le quali nei prossimi mesi le esportazioni vitali di petrolio del Venezuela scenderebbero sotto il milione di barili al giorno e le esportazioni di petrolio del paese sarebbero diminuite di circa 50.000 barili al mese. "Questa è una catastrofe per il Venezuela", ha detto Abrams. Ma secondo quanto riferisce il Ministro saudita dell'Energia dell’Arabia Saudita, Khalid al-Falih ieri, il Venezuela è riuscito a reindirizzare le esportazioni di petrolio dagli Stati Uniti all'Asia. In questo modo Caracas potrà continuare a vendere all’estero più di 1 milione di barili al giorno.
Ryabkov invece ha detto che le due parti ora hanno capito meglio i loro rispettivi punti di vista. "Forse non siamo riusciti ad arrivare ad un punto di caduta ...", ha riferito le agenzie di stampa russe TASS e RIA Novosti. "Ipotizziamo che Washington affronti seriamente le nostre priorità, il nostro approccio e gli avvertimenti". I colloqui sarebbero stati difficili ma franchi. Mosca ha avvertito Washington di non intervenire militarmente in Venezuela e che la Russia è sempre più preoccupata dalle sanzioni statunitensi nel paese latinoamericano. "Tenendo conto che i rappresentanti dell'amministrazione americana hanno da tempo determinato la loro posizione, espressa dalla formulazione "tutte le opzioni restano sul tavolo", che secondo la nostra comprensione equivale a dire che l'uso della forza militare in Venezuela non è esclusa, abbiamo chiaramente messo in guardia gli USA da questo approccio avventato. La Russia si oppone fermamente non solo all'uso della forza militare come atto di ingerenza esterna, ma anche all'uso dei cosiddetti metodi a bassa intensità, quando l'aggressione militare potrebbe essere perpetrata attraverso l'uso di gruppi paramilitari introdotti dai Paesi confinanti".
Ricordiamo che il 26 febbraio scorso, al Consiglio di Sicurezza dell'ONU la Russia ha presentato una risoluzione che invitava al dialogo tra tutte le parti. Gli Stati Uniti hanno rifiutato di approvarla. E. Abrams, in quell'occasione, ha ricordato alla Russia che il Venezuela gli deve "un sacco di soldi" e che ciò che preoccupava la Russia era che i debiti venissero ripagati e che non accettava accuse di intervento militare da parte di un paese che occupava il territorio della Georgia e della Crimea. La Russia, dal canto suo, ha risposto che gli Stati Uniti avevano l'impressione che i russi fossero preoccupati solo del denaro, ma si sbagliavano. "Non tolleriamo quando il diritto internazionale viene calpestato. Washington non si preoccupa dei problemi del Venezuela, quello che vuole è un cambio di regime".
Abrams li ha definiti «positivi, seri e sostanziali. È stato utile per noi capire che la Russia vede come molto seria la crisi in Venezuela a differenza di Maduro e che da entrambe le parti emergano con una migliore comprensione delle posizioni reciproche. Non negoziamo con la Russia o con altri il futuro del Venezuela, il futuro del Venezuela lo scelgono i venezuelani. Chi ha il titolo di presidente del Venezuela è stato ancora un punto di contesa». Abrams ha citato recenti stime secondo le quali nei prossimi mesi le esportazioni vitali di petrolio del Venezuela scenderebbero sotto il milione di barili al giorno e le esportazioni di petrolio del paese sarebbero diminuite di circa 50.000 barili al mese. "Questa è una catastrofe per il Venezuela", ha detto Abrams. Ma secondo quanto riferisce il Ministro saudita dell'Energia dell’Arabia Saudita, Khalid al-Falih ieri, il Venezuela è riuscito a reindirizzare le esportazioni di petrolio dagli Stati Uniti all'Asia. In questo modo Caracas potrà continuare a vendere all’estero più di 1 milione di barili al giorno.
Ryabkov invece ha detto che le due parti ora hanno capito meglio i loro rispettivi punti di vista. "Forse non siamo riusciti ad arrivare ad un punto di caduta ...", ha riferito le agenzie di stampa russe TASS e RIA Novosti. "Ipotizziamo che Washington affronti seriamente le nostre priorità, il nostro approccio e gli avvertimenti". I colloqui sarebbero stati difficili ma franchi. Mosca ha avvertito Washington di non intervenire militarmente in Venezuela e che la Russia è sempre più preoccupata dalle sanzioni statunitensi nel paese latinoamericano. "Tenendo conto che i rappresentanti dell'amministrazione americana hanno da tempo determinato la loro posizione, espressa dalla formulazione "tutte le opzioni restano sul tavolo", che secondo la nostra comprensione equivale a dire che l'uso della forza militare in Venezuela non è esclusa, abbiamo chiaramente messo in guardia gli USA da questo approccio avventato. La Russia si oppone fermamente non solo all'uso della forza militare come atto di ingerenza esterna, ma anche all'uso dei cosiddetti metodi a bassa intensità, quando l'aggressione militare potrebbe essere perpetrata attraverso l'uso di gruppi paramilitari introdotti dai Paesi confinanti".
Ricordiamo che il 26 febbraio scorso, al Consiglio di Sicurezza dell'ONU la Russia ha presentato una risoluzione che invitava al dialogo tra tutte le parti. Gli Stati Uniti hanno rifiutato di approvarla. E. Abrams, in quell'occasione, ha ricordato alla Russia che il Venezuela gli deve "un sacco di soldi" e che ciò che preoccupava la Russia era che i debiti venissero ripagati e che non accettava accuse di intervento militare da parte di un paese che occupava il territorio della Georgia e della Crimea. La Russia, dal canto suo, ha risposto che gli Stati Uniti avevano l'impressione che i russi fossero preoccupati solo del denaro, ma si sbagliavano. "Non tolleriamo quando il diritto internazionale viene calpestato. Washington non si preoccupa dei problemi del Venezuela, quello che vuole è un cambio di regime".
Infine l'incontro tra Abrams e il Governo italiano: «Con l'Italia abbiamo soltanto un punto di disaccordo sul Venezuela», il mancato riconoscimento di Guaido' come presidente. «Ma su molti altri punti concordiamo», ha detto il rappresentante speciale degli Usa per il Venezuela, ha precisato il referente USA dopo l'incontro con il consigliere diplomatico del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, Pietro Benassi. «Non stiamo cercando di fare pressione sul governo italiano perché riconosca Guaidò quale legittimo presidente del Venezuela».
Abrams si è poi recato in visita al Vaticano, secondo quanti riferisce FoxNews.
Il presidente USA Trump, intanto, ha ribadito ieri che ogni opzione rimane sul tavolo per il futuro del Paese e il DIpartimento del Tesoro ha annunciato l'imposizione di nuove sanzioni contro Minerven, la compagnia mineraria aurifera del Venezuela e il suo presidente, Adrian Perdomo.
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