Del resto erano mesi che altri
importanti esponenti del governo americano, da Mike Pompeo a James Mattis,
auspicavano un intervento armato in Venezuela in nome dei “diritti umani”, che
in quel Paese sarebbero violati, e sobillando le forze armate venezuelane
perché si ribellassero a Maduro. Quando sento parlare di “diritti umani”metto,
metaforicamente, mano alla pistola. Perché, come la storia recente insegna,
vuol dire che si sta per aggredire qualcuno. Il metodo per eliminare leader
sgraditi all’Impero americano, in genere socialisti, come per esempio Slobodan
Milosevic, è sempre lo stesso, con qualche variante: prima si comminano
sanzioni al Paese indesiderato, lo si strangola economicamente, nasce così uno
scontento popolare e con esso un’opposizione che, sempre incoraggiata da fuori,
si dà a manifestazioni più o meno violente. Prima di quelli degli ultimi giorni
gli scontri fra sostenitori dell’opposizione e sostenitori di Maduro avevano
causato in tutto 147 morti, equamente divisi fra le due fazioni. Si badi bene:
non erano stati scontri con polizia o esercito, ma scontri fra fazioni
politiche opposte. La reazione del governo venezuelano non deve essere poi, a
differenza di quello che avviene nelle dittature propriamente dette o
mascherate come quella di Putin in Russia, così truce se il leader
dell’opposizione Juan Guaidó, sequestrato qualche giorno fa mentre era in auto
con la moglie, dai servizi segreti, è stato liberato dopo poche ore e il
governo ha affermato che “è stata un’iniziativa non autorizzata” e che
punirà i responsabili. Maduro è stato rieletto per la seconda volta a maggio
del 2018, con quasi il 70% dei consensi, e si è reinsediato due settimane fa.
L’opposizione sostiene che si sia trattato di elezioni taroccate, perché in
lizza non c’erano validi oppositori di Maduro, perché si sospetta di gravi
brogli e perché sarebbero stati violati alcuni articoli della Costituzione
venezuelana che danno potere di intervento al presidente dell’Assemblea
nazionale, il Parlamento, “in caso di necessità e vuoto di potere”. Che ci sia
un vuoto di potere in Venezuela ci par dubbio, quello che è vero è che Maduro
ha svuotato il Parlamento delle sue funzioni. SE di golpe si tratta è un golpe
istituzionale (alla Napolitano), non un
golpe con le armi. Il golpe con le armi, cioè un golpe propriamente detto, lo
ha realizzato Abd al-Fattah al-Sisi rovesciando nel luglio 2013 il governo dei
Fratelli Musulmani, usciti vincitore, con tutti i crismi della legalità, dalle
prime elezioni libere in Egitto, mettendo in galera, non per due ore ma a vita,
il presidente legittimamente eletto Mohamed Morsi e tutta la dirigenza dei
Fratelli, assassinando in varie riprese 2.500 oppositori (ma potrebbero essere
molti di più) e facendone sparire altrettanti. Eppure nella cosiddetta comunità
internazionale, una gran parte della quale ora si scandalizza e si scaglia
contro Maduro definendolo “un usurpatore”, non si levò una sola protesta. Il
fatto è che quello di Maduro è un socialismo, un socialismo largamente
imperfetto, ma un socialismo, che ha due obiettivi di fondo: il tentativo di
una maggior perequazione sociale in un Paese dove un migliaio di famiglie
detiene la maggior parte della ricchezza e tutto il resto della popolazione
vive in povertà, e il tentativo di prendere le distanze dall’inquietante vicino
americano. È la cosiddetta ‘linea bolivariana’, che fu ripresa da Chavez,
il predecessore di Maduro, e di cui Maduro è il continuatore. Linea che per
parecchi anni ha avuto un certo successo coinvolgendo molti altri Paesi
sudamericani. Ma ora la situazione è cambiata. Perché molti di questi Paesi, ad
eccezione della Bolivia, del Messico e dell’Ecuador, sono governati dalle
destre e in qualche caso da destre estreme, vedi Bolsonaro. Se una previsione
l’avevo azzeccata, un’altra l’ho sbagliata. Avevo scritto che con Trump non ci
sarebbero più state guerre ideologiche, ma solo economiche. A quanto pare –
speriamo di sbagliarci e che The Donald torni sui suoi passi –non è così Due
osservazioni per finire. Fa ridere, fa ridere amaro, che gli Stati Uniti si
scaglino contro la presunta ‘dittatura’ di Maduro quando per decenni
hanno sostenuto i più feroci e sanguinari dittatori sudamericani, da Noriega a
Somoza a Batista a Pinochet. Certi esponenti europei, da Tusk a Tajani, hanno
affermato che in Venezuela alcuni oppositori sono in galera, sono quindi
“prigionieri politici”, una situazione inaccettabile. Ma in Spagna Puigdemont,
che dopo un referendum si era proclamato presidente della Catalogna, senza che
ci fosse stata alcuna violenza da parte dell’Indipendentismo
catalano, è stato costretto all’esilio, mentre altri esponenti del governo
catalano, sono in galera da più di un anno con l’accusa di “sedizione”. Questi
sì veri detenuti politici nel mezzo della democratica Europa. Due pesi e due misure.
Come al solito, come sempre. Maduro è un golpista, Al Sisi no, gli oppositori
di Maduro, dopo manifestazioni violente, sono “detenuti politici”,
Junqueras e gli altri, dopo un referendum, e senza violenze, sì. Ma ora, per
usare un linguaggio feltriano, ci siamo rotti i coglioni. Saremo probabilmente
i soli, in un panorama occidentale tutto allineato all’i mperialismo americano,
che in Sudamerica si riassume con la frase di Henry Kissinger dedicata al
Brasile, definito “satellite privilegiato degli Usa”, a difendere Maduro e quel
che resta del socialismo, che non è il comunismo, internazionale.
Massimo Fini per Il Fatto Quotidiano, 25 Gennaio 2019
Massimo Fini per Il Fatto Quotidiano, 25 Gennaio 2019
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